La Saga del Barracuda, gozzo ligure 29 palmi

 

  Giacevi sull'invaso, abbandonato,
  arso dal sole, salso, roso dal vento,
  vetusto, esausto, dall'uso macerato
  del mar mostravi i segni del tormento.
    Più non baciava il baglio l'ordinata,
    l'incinta all'ossatura s'allentava;
    comenti in schegge s'aprivano a murata
    tolti al fasciame che lento si schiodava.
  Ma ecco che pazienti mani amorose
  curano i lembi delle tue ferite;
  riprendi lentamente le armoniose
  agili forme, più verso prua ardite.
    E s'erge fiera la ruota verso prora,
    modellano i correnti la fiancata.
    Prestante, pronta è la tua chiglia ora
    a sostener madiere ed ordinata.
  D'incanto sei rinato; ed il momento
  di scivolar, aneli sul parato,
  per ritrovar nel liquido elemento
  la vita, se pur ardua del passato.
    Ma ti riserva il fato altro destino,
    con vela, la latina, vieni armato;
    nel glauco, vieni, mare di Stintino
    a nobili regate laureato.
  Ti porta alla vittoria un equipaggio
  non proprio imberbe, ma pieno di talento.
  Nessuno può turbarvi nell'ingaggio;
  la vostra fama vola via col vento.
      Umile eri, barco travagliato.
      Ora, fra tutti, sei il gozzo più ammirato.
   
  Umberto Paventi, Varazze 20 dicembre 1998

 

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